Scritto da Don Flavio Ferraro Domenica 26 Gennaio 2014
“Convertitevi, perché il regno è vicino”. Subito appare la novità cristiana. In questo invito pressante, infatti, Gesù non pone tanto l’accento su di un ritorno ad una situazione precedente, quanto su di un rivolgersi a ciò che avviene per mezzo della sua presenza, l’avvento del regno. Certo non scompare del tutto l’antica attenzione al “ritorno”, alla “purificazione” dal male – in ebraico il termine shub, “convertirsi”, vuol dire proprio questo ripristinare, questo tornare sui propri passi, questa inversione ad U, questo guardare indietro dell’uomo che rinnega i suoi passi sbagliati, per rivolgersi a Dio da cui proviene - ma tutto l’accento è ora verso il cammino che si spalanca dinanzi. Dio non è indietro, ma è avanti nella persona del Cristo, tutto da conoscere e seguire. A sottolinearlo ancor più, il vangelo ci fa subito ascoltare la chiamata delle due coppie di fratelli sul lago con l’espressione “Seguimi”, ad indicare che Gesù camminerà davanti e che si tratterà da ora in poi di seguire lui nel suo cammino. Si potrebbe quasi coniare un neologismo per indicare questa nuova concezione della “conversione” come “svoltare-in-avanti”, “tornare-in-avanti”, “tornare su di una via che non era mai stato possibile percorrere prima”! Perché questo? Perché la conversione, prima di essere una azione dell’uomo, è la possibilità della vita nello Spirito donata dal Cristo. Romano Guardini ha cercato un giorno di sintetizzare questa novità personale della sequela cristiana nel suo famoso libretto L’essenza del cristianesimo. Per il grande teologo sarebbe stato profondamente insufficiente affermare che il cristianesimo era essenzialmente amore o perdono o la scoperta dell’unicità e del valore della singola persona umana. Non perché questi valori non caratterizzino in maniera unica la fede cristiana – è evidente che queste risposte sintetiche emergono solo dove il cristianesimo ha fecondato una data cultura, con la conseguenza che in quel dato contesto niente ha più senso senza questi riferimenti - ma perché l’essenza del cristianesimo è data piuttosto dall’amore del Cristo, dal perdono del Cristo, dal valore infinito che il Cristo conferisce alla persona. Così scrisse Guardini: «Il cristianesimo afferma che per l’incarnazione del Figlio di Dio, per la sua morte e la sua risurrezione, per il mistero della fede e della grazia, a tutta la creazione è richiesto di rinunciare alla sua — apparente — autonomia e di mettersi sotto la signoria di una persona concreta, cioè di Gesù Cristo, e di fare di ciò la propria norma decisiva. Dal punto di vista della logica questo è un paradosso, perché sembra mettere in pericolo la stessa realtà della persona. Ma anche il sentimento personale si ribella contro questo. Poiché l’accettare una legge generale che si è dimostrata giusta — sia essa una legge della natura o del pensiero o della moralità — non è difficile per la persona. Essa avverte che in tale legge essa continua ad essere se stessa; anzi, che il riconoscimento di siffatte leggi generali può tradursi senz’altro in un’azione personale. Ma all’esigenza di riconoscere un’altra persona come legge suprema di tutta la sfera della vita religiosa e con ciò della propria esistenza — la persona contrasta con vivacità elementare, e si capisce che cosa può significare la richiesta di rinunciare alla propria anima». Convertirsi alla sequela del Signore, al diventare pescatori di uomini nell’annuncio del vangelo: questo è ciò che è richiesto in questo “tornare in avanti”.