Scritto da Don Flavio ferraro Sabato 7 Settembre 2013
Giovedì 12 settembre la comunità parrocchiale di Sant’Antonio da Padova e tutta la città di Tricase sarà in festa perché un figlio della sua terra sarà ordinato Sacerdote. Proponiamo un’analogia tra Maria e la figura del Sacerdote rivolgendo i nostri calorosi auguri a Don Stefano De Paola.
Sant'Agostino ha scritto: “Maria credette e in lei quel che credette si avverò. Crediamo anche noi, perché quel che si avverò in lei possa giovare anche a noi”. Crediamo anche noi! La contemplazione della fede di Maria ci spinge a rinnovare anzitutto il nostro personale atto di fede e di abbandono a Dio. Tutti devono e possono imitare Maria nella sua fede, ma in modo tutto speciale deve farlo il sacerdote. “Il mio giusto - dice Dio - vivrà di fede “ (cf Abacuc 2, 4; Rm 1, 17): questo vale, a un titolo speciale, per il sacerdote. Egli è l'uomo della fede. La fede è ciò che determina, per così dire, il suo “peso specifico” e l’efficacia del suo ministero. Ciò che i fedeli colgono immedia¬tamente in un sacerdote e in un pastore, è se “ ci crede “, se crede in ciò che dice e in ciò che celebra. Chi dal sacerdote cer¬ca anzitutto Dio, se ne accorge subito; chi non cerca da lui Dio, può essere facilmente tratto in inganno e indurre in inganno lo stesso sacerdote, facendolo sentire importante, brillante, al pas¬so coi tempi, mentre, in realtà, è un “bronzo che tintinna e un cembalo squillante”. Perfino il non credente che si accosta al sacerdote in uno spirito di ricerca, capisce subi¬to la differenza. Quello che lo provocherà e che potrà metterlo salutarmente in crisi, non sono in genere le più dotte discussioni della fede, ma trovarsi davanti a uno che crede veramente con tutto se stesso. La fede è contagiosa. Come non si contrae contagio, sentendo solo parlare di un virus o studiandolo, ma venendone a contatto, così è con la fede.
A volte si soffre e magari ci si lamenta in preghiera con Dio, perché la gente abbandona la Chiesa, non lascia il peccato, perché parliamo parliamo, e non succede niente. Un giorno gli apostoli tentarono di cacciare il demonio da un pove¬ro ragazzo, ma senza riuscirvi. Dopo che Gesù ebbe cacciato, lui, lo spirito cattivo dal ragazzo, si accostarono a Gesù in di¬sparte e gli chiesero: “Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?” E Gesù rispose: “Per la vostra poca fede” (Mi 17, 19-20). San Bonaventura racconta co¬me un giorno, mentre era sul monte della Verna, gli tornò in mente ciò che dicono i santi Padri e cioè che l'anima devota, per grazia dello Spirito Santo e la potenza dell'Al¬tissimo, può spiritualmente concepire per fede il benedetto Verbo del Padre, partorirlo, dargli il nome, cercarlo e adorarlo con i Magi e infine presentarlo felicemente a Dio Pa-dre nel suo tempio. Scrisse allora un opuscolo intitolato “Le cinque feste di Gesù bambino”, per mostrare come il cristiano può rivivere in sé ognuno di questi cinque momenti della vita di Gesù. Mi limito a ciò che san Bonaventura dice delle due prime feste, la concezione e la nascita, applicandolo in particolare al sacerdote. Il sacerdote conce¬pisce Gesù quando, scontento della vita che conduce, stimolato da sante ispirazioni e accendendosi di santo ardore, infine stac¬candosi risolutamente dalle sue vecchie abitudini e difetti, è come fecondato spiritualmente dalla grazia dello Spirito Santo e concepisce il proposito di una vita nuova. Una volta concepito, il benedetto Figlio di Dio nasce nel cuore del sacerdote, allorché, dopo aver fatto un sano discernimen¬to, chiesto opportuno consiglio, invocato l'aiuto di Dio, mette immediatamente in opera il suo santo proposito, comin¬ciando a realizzare quello che da tempo andava maturando, ma che aveva sempre rimandato per paura di non esserne capace. Questo proposito di vi¬ta nuova deve, però, tradursi subito, senza rinvii, in qualcosa di concreto, in un cambiamento, possibilmente anche esterno e visibile, nella nostra vita e nelle nostre abitudini. Se il proposito non è messo in atto, Gesù è concepito, ma non è partorito. Sarà uno dei tanti aborti spirituali di cui è pieno purtroppo il mondo delle anime. Ci sono due brevissime parole che Maria pronunciò al momento dell’Annunciazione e il sacerdote pronuncia nel momento della sua ordinazione: “Eccomi!” e “Amen”, o “Sì”. Ricordo il momento in cui ero davanti all’altare per l’ordinazione. A un certo punto venne pronunciato il mio nome e io risposi emozionatissimo: “Eccomi!”
Nel corso del rito, ci furono rivolte alcune domande: “Vuoi esercitare il ministero sacerdotale per tutta la vita?”, “Vuoi adempiere degnamente e fedelmente il ministero della parola nella predicazione?”, “Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo?”. Ad ogni domanda rispondemmo: “Sì, lo voglio!” Il rinnovamento spirituale del sacerdozio cattolico, auspicato dal Santo Padre, sarà proporzionato allo slancio con cui ognuno di noi, sacerdoti o vescovi della Chiesa, saremo capaci di pronunciare di nuovo un gioioso: “Eccomi!” e “Sì, lo voglio!”, facendo rivivere l’unzione ricevuta nell’ordinazione. Gesù entrò nel mondo dicendo: “Ecco, io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà!” (Eb 10,7).